Competenze che aiutano a resistere in tempi difficili

Quali sono le caratteristiche aziendali che fanno di un’organizzazione un sistema destinato a durare nel tempo e capace di affrontare le avversità?

E’ questa la domanda che mi è frullata in testa in questi mesi complessi. Mesi in cui alcune aziende sono riuscite a gestire tranquillamente l’attività anche a distanza ed in altre invece, i lavoratori hanno vissuto questa trasformazione organizzativa in modo a dir poco distruttivo.

Dopo numerosi ripensamenti, sono arrivata alla conclusione che ci sono due caratteristiche secondo me necessarie, per affrontare il cambiamento organizzativo che stiamo vivendo.

Al primo posto metto la capacità dell’azienda di gestire la Knowledge sharing ossia la capacità di condividere le informazioni all’interno e all’esterno dell’organizzazione.

In questa competenza l’elemento di usabilità digitale è sicuramente fondamentale e nell’attuale periodo di accelerazione dello Smart working, ha fatto la differenza.

Non dobbiamo però cadere nell’errore di considerare solo questo aspetto.

Per essere in grado di sviluppare una reale Knowledge Sharing è necessario saper far “ruotare le informazioni” sia a livello orizzontale (tra i membri del team) che a livello verticale (dai singoli verso il management).

Se l’usabilità digitale ha consentito ad alcune aziende di affrontare la pandemia con relativa tranquillità, attivando immediatamente lo Smart working e il telelavoro, è stata principalmente la capacità di dare e ricevere feed back che ha diviso le organizzazioni tra chi è riuscito ad implementare il lavoro agile e chi invece ne è stato travolto. Stiamo parlando di una competenza soft fortemente strategica, legata alla capacità del singolo di capire quali informazioni devono essere comunicate e con quale mezzo. Anche a distanza, è necessario che i feed back siano costanti, veloci e focalizzati.

Più un individuo è consapevole della loro importanza, ed è capace di dare e ricevere feed back più può vantare una seniority di ruolo all’interno dell’organizzazione.

La seconda competenza fondamentale che ritengo necessaria per le aziende che intendono durare e svilupparsi nel tempo, la individuo nella Learning Organization, ossia nella capacità di una azienda di svilupparsi come una “comunità che apprende”. Di questo concetto se ne parla da diversi anni, ma mai come ora ne vedo tutta la rilevanza strategica.

Una azienda ha successo nel tempo se investe, con pazienza, sulla costruzione di un sapere comune, indipendente dai singoli, costruendo giorno per giorno una logica organizzativa in cui “nessuno deve ritenersi indispensabile”

Nella learning organization si è consapevoli che bisogna evitare di creare degli accentramenti di conoscenza legati ai singoli. Forse un tempo quando il lavoro in una azienda era “per sempre” poteva avere un senso investire solo su alcune persone, ma oggi, con la fluidità del mercato del lavoro è assolutamente un errore quello di accettare da evitare la personalizzazione della conoscenza.

Una organizzazione che investe nella condivisione del sapere, lavora a livello organizzativo affinché tutto il personale utilizzi strumenti e costruisca una mentalità allenata a condividere il sapere comune in termini di diffusione della cultura aziendale.

Più le aziende sposano questo concetto più avvertono la necessità di creare un posto fisico o virtuale dove far crescere e distribuire il sapere aziendale.

Si chiamano Academy aziendali i luoghi in cui, non solo si apprende e si assicura l’occupabilità del proprio personale, ma dove si forgia e si racconta la cultura aziendale. Adoro pensare che alcune aziende hanno scelto il termine di Corporate University per indicare questi luoghi, proprio come a dire che la cultura superiore si sviluppa, non solo a scuola o nelle università, ma anche in azienda e che questo sapere può aprire le sue porte anche al territorio, contaminandolo.

In questa logica l’azienda diventa luogo dove si apprende e dove si mette in circolazione la conoscenza. Posto dove trascorrere la singola esperienza lavorativa nella convinzione che ogni giorno si crescere professionalmente e si contribuisce a generare un sapere condiviso capace di garantire la propria occupabilità. Spazio dove ognuno si sente parte di un tutto che cresce e fa crescere. Luogo culturale dove insieme si cercano strategie in tempi difficili.

“E’ questo il tempo delle cattedrali” cantava Riccardo Cocciante in un noto musical spiegando così un intero periodo storico.
Io oggi, per raccontare questo decennio direi “E’ questo il tempo delle Corporate Academy”.

Mini guida all’autodisciplina

L’autodisciplina è la capacità di fare le cose anche se non le vuoi fare. Ed è una delle qualità più importanti nella vita.

Nel 2020 siamo tutti costretti a lavorare e trascorrere più tempo a casa. Non c’è molto che possiamo fare al di fuori di casa. 

Non possiamo viaggiare, mangiare fuori, guardare film al cinema, andare ai concerti e così via. Eppure, ci si aspetta che ci comportiamo come persone responsabili. Dobbiamo lavorare da remoto, mantenerci in forma, partecipare a videochiamate, seguire corsi online, rimanere in contatto con la famiglia….

Senza autodisciplina, rinunceremmo. Perché consapevolmente o meno, siamo tutti diretti verso il caos. Questa è la direzione naturale della vita. Tutti noi siamo soggetti alla seconda legge della termodinamica.

Abbiamo bisogno di autodisciplina per reagire. Ma come possiamo svilupparla? Rimane un problema complesso e nessuno ha le risposte.

Una cosa che so con sicurezza è che la capacità di autodisciplinarsi non si impara dall’oggi al domani. Allora forse è meglio concentrarsi sulle abitudini che portano alla disciplina, piuttosto che concentrarsi sull’autodisciplina stessa. Quindi ecco un elenco di abitudini che ho adottato che mi hanno reso più disciplinato.

Essere responsabile

Se dico che farò qualcosa, DEVO FARLO . E se non posso, devo avere una buona ragione. Questo è il fondamento dell’autodisciplina. Non devo fare le cose perché devo dimostrare qualcosa agli altri .

No, lo devo fare per me stesso. Devo considerarmi responsabile quando stabilisco gli obiettivi, intenzioni e azioni. Nessuno mi sta guardando. Devo essere me stesso.

Non devo complicarmi la vita. Scrivo cosa voglio fare ogni giorno. E alla fine, guardo cosa ho effettivamente fatto. Quando le azioni corrispondono alle parole, sono sulla strada giusta.

Essere onesto nella comunicazione

Verso me stesso e verso gli altri. L’onestà è difficile per la maggior parte di noi perché richiede umiltà. Spesso abbiamo paura di dire la verità perché pensiamo di apparire deboli.

Ma è vero l’opposto. Quando non sono onesto, nessuno mi prende sul serio. 

Tutti abbiamo punti deboli e problemi. Non è necessario nasconderlo. Non c’è nemmeno bisogno di fare la vittima. Basta attenersi alla verità.

Quando sono onesto con me stesso e gli altri, è più facile essere disciplinati. Perché non è la fine del mondo quando sbagliamo. Ci sono anche giorni brutti. Mangio troppi dolci. Salto i miei allenamenti. Ma se sono onesto quando lo faccio e riconosco i miei errori, vuol dire che sono in grado di tornare sulla strada giusta.

Dare l’esempio giusto

Non devo aspettarmi mai che le persone facciano qualcosa che non sto facendo. E se sto facendo qualcosa che gli altri non stanno facendo, non devo aspettarmi che lo facciano.

Sembra un paradosso, ma tutto dipende da questo: fai la cosa giusta e non avere aspettative dagli altri. Se alcune persone non vogliono applicarsi, non è un mio problema. Continuo a dare l’esempio giusto. Lascio che le azioni parlino per me.

Migliorare ogni giorno

Molte persone non hanno la pazienza e la spinta giusta per migliorare. Mi occupo di formazione professionale e a volte le persone che frequentano i nostri corsi dicono che occorre troppo lavoro per migliorare le proprie competenze. 

Ma davvero ?! Ma va?!

Certo, è difficile e ci sono già abbastanza persone che non vogliono migliorare sé stessi. Se ho la volontà di migliorare, non devo preoccuparmi dell’autodisciplina.

Ma devo avere un motivo per migliorare. 

Perché voglio migliorare in un’abilità? Per cosa voglio usarla?  Per rimettermi in forma? E cosa farò quando sarò più in forma?

Mettere nero su bianco

Trasformare i pensieri in parole aiuta a capire se stessi e quello che si sta facendo. 

Spesso ho un’idea che sembra grandiosa, nella mia testa.

Ma poi appeno la scrivo, comincio a vederne i limiti e i difetti. Mi succede spesso con le email: comincio a scrivere un’idea innovativa ai miei colleghi e seguo semplicemente il mio processo di pensiero. Alla fine della mail, so se è inutile o no. Ho cestinato parecchie email in questi anni! Quindi, il mio comportamento non è sempre una questione di autodisciplina: a volte non faccio qualcosa perché non è la cosa giusta da fare..

Fare il possibile

La vita è tutt’altro che perfetta. Non ci saranno mai le circostanze perfette per lavorare. 

Vorrei avere una casa in riva al mare. 

Vorrei che non piovesse mai quando devo uscire. 

Vorrei, desidero, desidero….. Ma nella vita, dobbiamo fare ciò che possiamo con ciò che abbiamo.

  • Stanco? Fai ciò che puoi.
  • Casa di merda? Fai ciò che puoi.
  • No amici? Fai ciò che puoi.
  • (Scrivi quello che ti pare)? Fai quello che puoi

Una cosa per me è sicura: lamentarsi è una cosa da sfigati che non hanno un briciolo di auto-disciplina.

Guardare avanti

Non sarà sempre estate. La vita si muove a cicli. A volte i periodi fantastici durano molto tempo. E a volte i periodi deprimenti anche. Le cose accadono. Gli americani dicono “Shit happens”.

Crollo delle economie. I lavori scompaiono. Si verificano disastri naturali. Le pandemie chiudono le porte alla vita. 

La cosa migliore che posso fare è prepararmi. Allenare il mio corpo e la mia mente. Creare un po’ di risparmi per i momenti brutti. Sbarazzarmi dell’eccesso. La vita è molto lunga, e i periodi migliori torneranno.

Vivere l’attimo fuggente

Ma nessuna delle precedenti azioni indica che in realtà devo sempre pensare al futuro. La vita è ADESSO (eh si, anche Claudio Baglioni….).

Lavorare da casa, leggere un libro, fare una passeggiata, trascorrere del tempo con i propri cari: tutte queste cose accadono proprio ora. 

Vivere nel presente è un’abilità. L’ho scoperto a mie spese e non l’ho ancora imparato appieno e su questo devo ancora migliorare. 

È tutto. 

Un consiglio: la prossima volta che sei preoccupato, con la mascella contratta e non presti attenzione a chi o cosa è il tuo presente, torna a ciò che conta di più in quel momento: l’unica cosa che ti è davanti.

Nazario De Mori

Automiglioramento: una checklist per iniziare il viaggio di crescita personale

Durante questa quarantena ho spesso pensato che fosse il momento giusto per migliorare alcune situazioni e comportamenti che adotto e vivo. D’altronde come diceva Calvino “Se non ora, quando?”

Sembra facile! Ma in cosa consiste in realtà l’automiglioramento? Ho una figlia che studia psicologia e abbiamo parlato spesso di ciò e della ricerca della felicità, in questo periodo in cui abbiamo avuto molto tempo per confrontarci.

Diciamo che l’automiglioramento di solito viene considerato come un assortimento di vari suggerimenti di guru e esperti per avere più successo, essere più felice o saggio. Ma allora il miglioramento di sé non ha idee di base, sono solo opinioni?

Secondo me ci sono alcuni temi comuni nell’arte di vivere meglio. Queste idee sono pervasive, ed emergono in tutti coloro che affrontano questo argomento. Addirittura anche negli scritti di coloro che prendono posizione contro l’idea dell’automiglioramento.

Insomma, sono giunto alla conclusione che esistono 7 aspetti che riguardano il miglioramento di sé.

I magnifici 7 dell’automiglioramento

1. Abitudini

Quasi tutte le forme di auto-miglioramento richiedono innanzitutto che tu cambi il comportamento. A meno che il miglioramento che stai cercando non sia puramente mentale, dovrai prima fare qualcosa.

 Le abitudini, quindi, formano un’idea centrale nel cambiamento dei comportamenti. Essere in grado di rendere certi comportamenti automatici (o almeno più automatici) ti aiuterà moltissimo ad affrontare qualsiasi cambiamento si voglia fare. 

Per migliorare la mia forma fisica devo avere l’abitudine di mangiare bene e fare esercizio fisico. Per diventare ricco devo avere l’abitudine di risparmiare e investire. Per avere relazioni amorevoli sono necessarie buone abitudini di comunicazione.

Non solo le abitudini sono fondamentali per l’auto-miglioramento, ma sono anche uno degli aspetti meglio studiati della psicologia. Abbiamo innumerevoli studi che dimostrano come l’impatto di ricompense, punizioni e segnali contestuali abbiano un impatto sul comportamento.

2. Impostazione degli obiettivi

Come puoi raggiungere una destinazione se non sai prima la direzione da prendere? La definizione degli obiettivi non implica solo la decisione su ciò che desideri, ma anche la pianificazione di come bisogna arrivarci. È un tema comune, anche se molte persone non sono d’accordo su quali aspetti siano più importanti.

Anche la definizione degli obiettivi è stata studiata dalla ricerca psicologica e generalmente è risultata utile. Tuttavia, sembra anche chiaro che avere l’idea di ciò che si desidera ottenere di solito non è sufficiente, anche se può essere un inizio necessario. Pertanto, la definizione degli obiettivi deve essere abbinata a piani, sistemi o abitudini.

Probabilmente già sai che una buona definizione di obiettivo prevede che questo sia SMART (specifico, misurabile, attuabile, raggiungibile e temporizzato cioè limitato nel tempo).

3. Sistemi

I sistemi sono strumenti che strutturano i comportamenti e le decisioni con regole formali. Ad esempio un sistema di produttività ha lo scopo di aiutare a svolgere il lavoro organizzando le cose che devono essere fatte e dicendo anche quando farle. Ovviamente esistono altri sistemi per aiutare a prendere decisioni, gestire la conoscenza o organizzare l’approccio a specifici settori della vita.

L’opposto dei sistemi è un approccio basato sull’intuizione o informale.  

I sistemi sono spesso basati su concetti di gestione scientifica e teoria organizzativa, ma applicati alla vita personale. Pertanto concetti aziendali come procedure operative standard, revisioni trimestrali e indicatori chiave di performance vengono riproposti come concetti di auto-miglioramento.

I sistemi, come la definizione degli obiettivi, hanno anche detrattori. Approcci spontanei, intuitivi, creativi o emotivi al miglioramento possono essere soppressi in un sistema eccessivamente rigido. Tuttavia, comprendere i sistemi, anche se si sceglie di applicarli in modo selettivo, è un concetto chiave che vale la pena conoscere.

4. Autoregolazione emotiva

Gran parte del miglioramento personale ha a che fare con la gestione, la guida o l’ascolto delle nostre emozioni. In effetti, coloro che considerano la felicità uno stato emotivo, fondamentale per la nostra esistenza, possono sostenere che ogni auto-miglioramento alla fine è finalizzato a farci sentire meglio.

Oltre ad essere fine a sé stessa, l’autoregolazione emotiva ha importanti scopi strumentali. Esiste un’enorme quantità di letteratura sull’auto-miglioramento che spiega come superare le paure e le ansie. Motivazione e forza di volontà si sovrappongono anche qui, anche se possono essere visti meglio come concetti distinti da emozioni o sentimenti soggettivi.

La terapia cognitivo-comportamentale prevede pensieri, sentimenti e comportamenti come parte di un sistema correlato. Il modo in cui pensi alle cose influenza il modo in cui ti percepisci, che quindi influenza ciò che fai. Il modo in cui ti percepisci, a sua volta, influenza i tuoi pensieri e le tue azioni. Anche le azioni, con le loro conseguenze, possono influire sui sentimenti successivi.

Altri sostengono che sia più importante ascoltare le emozioni che tentare di gestirle. In questa prospettiva, le emozioni sono segnali importanti per parlare del significato degli eventi, spesso superando la capacità di analizzare le situazioni razionalmente. 

5. Apprendimento

L’apprendimento è un concetto complicato perché in realtà ci sono due diversi sensi della parola. Il primo è sinonimo di studio. È sicuramente valido per gli studenti, certamente, ma potrebbe essere qualcosa che non è centrale nella tua vita se non sei più uno studente.

D’altra parte, l’apprendimento è anche un processo psicologico di base. Ogni volta che cambiamo grazie ad un’esperienza, miglioriamo qualsiasi cosa o ricordiamo qualcosa, stiamo imparando.

In questo secondo senso, l’apprendimento è un concetto chiave di auto-miglioramento. Come le abitudini, l’apprendimento è stato studiato in modo incredibilmente dettagliato, rendendolo una ricca fonte di intuizioni nella ricerca sull’auto-miglioramento. Alcuni potrebbero sostenere che l’apprendimento è il nucleo della psicologia stessa.

L’apprendimento penso sia stato spesso trascurato nell’auto-miglioramento, forse perché molte persone lo confondono con lo studio. L’apprendimento nel senso di studio deliberato, è uno strumento importante semplicemente perché è il mezzo con cui si possono capire meglio gli altri strumenti.

6. Valori e significato

La maggior parte dei concetti chiave di cui ho parlato finora sono strumentali, utili per raggiungere uno scopo. Tuttavia, un concetto chiave di auto-miglioramento è una riflessione sugli stessi scopi.

Questo in genere ci allontana dalla psicologia e ci porta più verso la filosofia e la religione. Ciò che dovresti valorizzare nella vita, e il modo in cui trai il significato dalle cose, sono domande profonde che l’uomo ha discusso per millenni. Anche l’auto-miglioramento stesso è una prospettiva, che alcuni esperti ritengono inconcludente.

Esistono due livelli in cui questo problema può essere affrontato. Il primo è trovare un sistema di significato o valori che si desidera emulare consapevolmente. Questo potrebbe essere stoicismo, buddismo, cristianesimo o qualche tipo di umanesimo secolare. Potresti voler inibire consapevolmente alcuni dei tuoi vizi e migliorare le tue virtù. Potresti decidere che la felicità è il significato della vita o che lo scopo della nostra vita trascende ciò che proviamo nel momento.

Il secondo livello di questo sistema è investigare il significato stesso. Questo è un lavoro più esoterico, da filosofi, e forse troppo astratto per molte persone che vogliono semplicemente una risposta su come deve essere la vita. Ma data la pluralità di sistemi che spesso si contraddicono, la comprensione di significati e valori spesso può aiutare a strutturare la decisione di quale aspetto del sé rafforzare.

7. Pensieri e credenze

I pensieri si riferiscono alle cose che dici a te stesso nella tua testa. Gran parte del contenuto mentale non è verbale, ma la nostra auto-narrazione è una parte importante della nostra qualità di vita ed è uno strumento per raggiungere le cose.

Ciò che le credenze effettivamente sono e se effettivamente esistono, è meno preciso. Alcuni classificherebbero una credenza come un’affermazione nella tua testa. Ragionando come informatici diremmo che avrebbe due posizioni: TRUE o FALSE. 

Altri vedrebbero le credenze come dichiarazioni di probabilità (46% VERO o 54% FALSO). Ancora, altri potrebbero sostenere che le credenze non esistono realmente nella nostra testa, ma sono corollari del nostro comportamento. In questo senso, ci comportiamo come se avessimo delle credenze, ma non abbiamo davvero nulla corrispondente alle probabilità o alle proposizioni all’interno della nostra mente.

Pensieri e credenze, indipendentemente dal formato esatto che assumono, formano un concetto fondamentale nell’auto-miglioramento per molteplici ragioni.

In primis credenze e pensieri possono diventare profezie che si autoavverano. 

Molti sostengono che, poiché i tuoi pensieri e le tue credenze hanno un impatto causale sul tuo comportamento e quindi sui tuoi risultati, potresti entrare in cicli di credenze autolimitanti che diventano realtà solo perché credi in esse. Credere a qualcosa è, in un certo senso, renderlo letteralmente vero. 

All’estremo opposto ci sono quelli che sostengono un ruolo prevalentemente passivo delle credenze, cioè sono presenti nel mondo ma non cambiano molto i risultati. Per questi, avere delle vere credenze conta più che credere alle cose per renderle vere. Indipendentemente da tutto ciò, il contenuto dei nostri pensieri e credenze è fondamentale per l’auto-miglioramento.

Esiste altro?

Sicuramente ci sono altri concetti di auto-miglioramento che qui non ho preso in considerazione. Alcune idee sono importanti ma non sembrano universali, quindi le ho escluse (crescita composta, allenamento progressivo, metriche). 

Spero che tutto ciò ti sia utile.

Nazario De Mori

La creatività, questa (s)conosciuta

Cosa unisce Eminem e Steve Jobs, Oscar Farinetti e Tiziano Ferro?

Sicuramente la creatività.

Cos’è la creatività? Possiamo definirla, e spero che tu sia d’accordo, come il processo che genera idee originali che hanno valore.

Aggiungiamo anche che esistono due tipi di creatività:

  1. la creatività tecnica, in cui le persone creano nuove teorie, tecnologie o idee. Questo è il tipo di creatività di cui parliamo qui;
  2. la creatività artistica, che nasce dall’abilità, dalla tecnica e dall’espressione di sé. La creatività artistica va oltre lo scopo di queste righe.

Esiste un mito che riguarda la creatività: solo persone assolutamente speciali possono essere creative.

Non è vero.

Tutti nasciamo con enormi potenzialità creative. Il trucco consiste nel saperle sviluppare.

La creatività è come l’alfabetismo. Diamo per scontato che tutti siano in grado di imparare a leggere e scrivere. Se una persona non sa leggere o scrivere, non pensiamo che non sia in grado di farlo, ma semplicemente che non abbia imparato a farlo. Lo stesso vale per la creatività. Quando le persone sostengono di non essere creative, spesso è perché non sanno cosa significhi o come funzioni esattamente la creatività.

Un altro mito è quello secondo cui la creatività riguarda attività speciali, come le arti, il design, o la pubblicità. Queste attività spesso richiedono una creatività notevole. La stessa cosa, però, può essere vera per la scienza, l’ingegneria, la gestione di un’azienda, lo sport oppure le relazioni. Il fatto è che si può essere creativi in qualsiasi campo, qualsiasi campo che coinvolga l’intelligenza.

Il terzo mito è quello secondo cui le persone o sono creative oppure non lo sono affatto. Questo mito suggerisce che la creatività, come il QI, sia un tratto predeterminato, come il colore degli occhi, e che non sia possibile fare nulla per cambiarlo. In verità, è assolutamente possibile diventare più creativi nel proprio lavoro e nella propria vita.

Il passo fondamentale consiste nel comprende la stretta relazione tra creatività e intelligenza.

Allora ecco come Potenziare la tua abilità creativa.

Un efficace processo creativo di solito consiste in cinque passaggi. Questi sono:

  1. Preparazione: immergersi in problemi e problematiche interessanti e che suscitano curiosità.
  2. Incubazione: permettere alle idee di modificarsi, anche inconsciamente.
  3. Approfondimento: sperimentare il momento in cui il problema diventa sensato e si comprende la questione fondamentale.
  4. Valutazione: impiegare del tempo per assicurarsi che l’insight fornisca un valore sufficiente per superare i vari costi legati all’attuazione.
  5. Elaborazione: creazione di un piano per implementare la soluzione e seguito.

Ho mappato questi cinque passaggi. Così hai un modo chiaro e pratico per pensare alla creatività e utilizzarla al lavoro, nella vita di tutti i giorni.

1. Individuazione dei problemi (preparazione)

Le persone creative non aspettano che i problemi possano emergere. Al contrario, scansionano il loro ambiente alla ricerca di potenziali problemi e percepiscono questo come tempo ben speso. Inoltre, sono entusiasti dell’opportunità di cambiare le cose. Non sono intimiditi dal cambiamento; lo abbracciano.

Per sviluppare le tue capacità creative, devi adottare un atteggiamento positivo nei confronti del cambiamento e assumere un ruolo attivo nell’identificare le opportunità e nella ricerca di potenziali problemi. 

Cerca prima i problemi e i potenziali problemi che ti interessano. Quindi, man mano che diventi più sicuro, mettiti alla prova per indagare su problemi più complessi.

2. Raccolta e riflessione sulle informazioni (incubazione)

Quando hai un potenziale problema, raccogli quante più informazioni puoi. 

La creatività può evocare l’intuizione spontanea e l’ispirazione, la verità è che essere creativi sul posto di lavoro vuol dire comprendere praticamente le situazioni a portata di mano.

Ciò che spesso separa le persone creative dagli altri è la capacità di vedere le potenziali barriere ma credere nelle loro intuizioni. È importante l’esplorazione creativa dei problemi: essere aperti a tutte le idee e possibilità.

3. Esplorazione dei problemi (Approfondimento)

Dopo aver identificato e verificato il tuo problema, riuscirai a capire cosa sta realmente succedendo. Spesso, il problema iniziale che hai identificato si rivelerà essere un sintomo di un problema più profondo. Pertanto, identificare la causa principale del problema è estremamente importante.

 4. Generazione e valutazione di idee (valutazione)

Quando hai una visione chiara della causa del problema, puoi passare alla generazione di idee per una soluzione. Cercherai allora il maggior numero di idee possibili. 

Ovviamente non tutte le idee che hai saranno pratiche o realizzabili. Pertanto, nell’ambito di questo passaggio del processo di creatività, devi decidere quali criteri utilizzare per valutare le tue idee. (Senza un solido processo di valutazione, sarai incline a scegliere una soluzione non adatta.)

5. Implementazione (elaborazione)

Un malinteso comune è che le persone creative trascorrono tutto il loro tempo a pensare a idee nuove e interessanti. Le persone veramente creative riconoscono una buona idea e quindi agiscono per applicarla.

Per questo passaggio finale, devi impegnarti realizzare le tue idee, e devi essere sicuro di poter proporre idee innovative e ispirare il cambiamento.

Per implementare con successo le tue idee, sviluppa un piano solido, usando piani d’azione nella tua organizzazione. Se è probabile che la tua idea colpisca altre persone, ti consiglio di sviluppare forti capacità di gestione del cambiamento.

Nella nostra playlist, che ormai comincia a essere piuttosto corposa, ci aggiungiamo “My name is” di Eminem, “Don’t stop believin’” dei Journey (mai smettere di credere nella nostra creativià) e “Working on a dream” di Springsteen (lavoriamo sui nostri sogni con creatività)

Nazario De Mori

Smart cities, curiosità e leadership: il teamwork

Una delle competenze più richieste dalle aziende è la capacità di lavorare in team.

Ma che cos’è il teamwork? È lavorare in gruppo con persone con le quali non è detto che si condivida molto. Significa coordinare e collaborare, superando confini di ogni tipo, competenza, distanza, fuso orario, ecc., per portare a termine il lavoro. 

Viviamo tempi esponenziali, con turni pazzeschi e competenze sempre più circoscritte. Molto spesso bisogna lavorare con persone sempre diverse per portare a termine il lavoro, e non sempre abbiamo il lusso di avere squadre stabili. 

Certo, se quel lusso è possibile, ben venga. Ma sempre più spesso, per gran parte del lavoro che facciamo oggi, questa possibilità non esiste. 

Esempio: gli ospedali. Devono essere aperti 24 ore al giorno 7 giorni la settimana, e i pazienti sono sempre diversi. Sono tutti unici e diversi in modi complicati. Il paziente ricoverato in ospedale è visto da assistenti diversi durante la degenza. 

Provengono da diversi turni, diverse specializzazioni, diversi settori di competenza e magari neanche si conoscono fra loro. Ma devono coordinarsi affinché il paziente venga curato al meglio. Se non lo fanno, i risultati possono essere tragici. 

Certo, nel lavoro di squadra, la posta in gioco non è sempre la vita o la morte. Se penso all’azienda in cui lavoro, comunque ci vogliono competenze diverse in momenti diversi, non ci sono ruoli fissi, si fanno molte cose che non si sono mai fatte prima e che non si possono fare in un team stabile. Questo modo di lavorare non è facile, ma come ho detto, è sempre più spesso il modo in cui molti di noi devono lavorare. 

Mi è capitato di lavorare in un progetto europeo che riguardava le smart cities. Forse ne avete sentito parlare: edifici a consumo netto di energia nullo, mobilità intelligente, città verdi, vivibili e meravigliose. L’urbanizzazione che il pianeta sta vivendo, e il cambiamento climatico, indicano che le città sono sempre più un obiettivo cruciale per l’innovazione. In tutto il mondo, in varie località, le persone stanno collaborando per progettare e cercare di creare città verdi, vivibili e intelligenti. 

È un’enorme sfida per l’innovazione. Nel progetto in cui ho lavorato dovevano collaborare un’azienda di software per smart city, un’impresa edile, alcuni ingegneri civili, un sindaco, un architetto, alcune aziende tecnologiche e un’azienda di trasferimento di competenze (la nostra). L’obiettivo era di costruire da zero un modello di smart city. Dopo cinque anni di progetto, non era successo molto. Sei anni, ancora nessun passo avanti. Sembrava che la collaborazione al di là dei confini industriali fosse davvero, molto difficile.

Avevamo vissuto con questo progetto, lo “scontro tra culture professionali”. Sapete, gli ingegneri del software e gli imprenditori edili pensano in modo molto diverso: valori diversi, tempistiche diverse, e un gergo diverso, un linguaggio diverso. Quindi non sempre le cose si vedono allo stesso modo. Lo scontro tra culture professionali è un grande ostacolo alla costruzione del futuro che desideriamo. Come fare in modo che i team funzionino bene, soprattutto se grandi? 

Per farsi un’idea di come rispondere a questa domanda, dobbiamo fare un viaggio nel tempo e nello spazio: torniamo al 5 agosto 2010 in Cile. Quel giorno la miniera di rame di San José crollò intrappolando 33 uomini a 800 metri di profondità. Questi minatori riescono a raggiungere un piccolo rifugio progettato a questo scopo, dove troveranno un intenso calore, sporcizia e cibo sufficiente per due uomini per dieci giorni. Non ci vuole molto perché gli esperti in superficie capiscano che non c’è soluzione. Nel settore, non esiste una tecnologia capace di perforare rocce così dure e profonde abbastanza velocemente da salvare loro la vita. Non si sa esattamente dove si trovi il rifugio. Non è neppure chiaro se i minatori siano vivi.

Per 10 settimane centinaia di persone provenienti da professioni diverse, aziende diverse, settori diversi e anche nazioni diverse fecero lavoro di squadra. 

Ci sono state molte idee, si sono provate molte cose. Hanno sperimentato, hanno fallito, hanno vissuto ogni giorno insuccessi devastanti, ma si sono ripresi, hanno insistito e sono andati avanti. 

Durante quella crisi in Cile sono stati capaci di essere umili di fronte a una sfida estremamente reale. 

Erano disposti a correre rischi per capire rapidamente cosa poteva funzionare. Idee e progetti venivano proposti da brillanti ingegneri minerari, dalla NASA, dalle forze speciali cilene, da volontari di tutto il mondo. Mente il mondo guardava, queste persone facevano progressi lenti e dolorosi attraverso la roccia. Il 17° giorno finalmente hanno aperto un varco verso il rifugio. 

Grazie a una serie di tecniche sperimentali, con una piccola incisione sono riusciti a trovarlo. Poi, per i successivi 53 giorni, quella stretta linea sarebbe stata la via attraverso la quale cibo, medicine e comunicazione avrebbero viaggiato, mentre in superficie, per altri 53 giorni, proseguiva il lavoro di squadra per trovare il modo di creare un buco molto più grande e per progettare una capsula che li tirasse fuori. Poi, il 69° giorno, dopo oltre 22 estenuanti ore, sono riusciti a tirar fuori i minatori, uno per uno. 

Come hanno fatto a superare lo scontro di culture professionali? Direi, in una parola, con la leadership. Quando il lavoro di squadra funziona, si può essere sicuri che alcuni leader, leader a tutti i livelli, sanno benissimo di non avere le risposte. Chiamiamola “umiltà situazionale”. Le persone che hanno lavorato per liberare i minatori erano molto curiose e questa umiltà situazionale combinata con la curiosità ha creato un senso di sicurezza psicologica che ha permesso di correre rischi con degli sconosciuti, perché, ammettiamolo: è difficile parlare, è difficile chiedere aiuto, è difficile proporre un’idea che potrebbe anche essere stupida, se non si conoscono le persone molto bene. Per farlo serve sicurezza psicologica. Hanno superato quella che possiamo chiamare la sfida umana di base: è difficile imparare se già sai. Dobbiamo ricordare a noi stessi di essere curiosi di ciò che gli altri propongono. 

Dobbiamo anche aggiungere che è terribilmente difficile fare squadra se si vedono gli altri come concorrenti. 

Abraham Lincoln disse una volta: “Non mi piace molto quell’uomo. Devo conoscerlo meglio.”  

Questa è la mentalità che bisogna avere per un lavoro di squadra efficace. Lavorando in isolamento, possiamo ottenere risultati. Ma quando facciamo un passo indietro e ci mettiamo in contatto con altri, possono accadere miracoli. Si possono salvare minatori, curare pazienti e creare smart city. Per riuscirci, credo non ci sia consiglio migliore di questo: cerchiamo i talenti unici, le competenze e le speranze dei colleghi, e a nostra volta, trasmettiamo ciò che possiamo offrire. Perché, per collaborare e per costruire il futuro che sappiamo di poter creare, ma che non possiamo creare da soli, questa è la mentalità che ci serve. Per questo il teamwork è una competenza che viene richiesta dalle aziende. Viviamo in un mondo troppo complesso per i “battitori liberi”.

Nella nostra playlist allora aggiungiamo Leader dei The Clash, You get what you give dei New Radicals e Ci vuole molto coraggio degli Ex-Otago. 

Nazario De Mori